La rubrica dell’avvocato
La rubrica dell’avvocatoa cura dell’ Avv. Claudio Calvello
(Patrocinante in Cassazione – DPO e membro di Federprivacy)
È REATO (di maltrattamenti in famiglia) SPINGERE UN FIGLIO CONTRO IL GENITORE SEPARATO
Se uno dei due genitori arriva al punto di mettere il figlio contro l’altro, ad esempio attraverso una costante opera di denigrazione, l’altro genitore può chiedere al Tribunale la modifica dei provvedimenti precedentemente assunti. Il Tribunale potrà quindi disporre un’ammonizione, il risarcimento dei danni, o anche la condanna a una sanzione amministrativa. Potrà inoltre valutare la nuova collocazione del figlio presso l’altro genitore e la revoca dell’affidamento condiviso, disponendo l’affido esclusivo. Alla revoca può conseguire anche la condanna del genitore al versamento dell’assegno di mantenimento per il minore oramai collocato presso l’altro coniuge. Altra recente pronuncia della sesta sezione penale della Cassazione ha invece confermato una condanna per maltrattamenti inflitta ad una mamma che aveva cercato di mettere suo figlio contro il padre. La donna era stata già condannata dai giudici di merito e si era rivolta alla Suprema Corte per sostenere che suoi comportamenti (che i consulenti avevano descritto come “portati a strumentalizzare i figli per scopi vendicativi nei confronti del coniuge”) non potevano configurare il reato di maltrattamenti. I giudici della Corte hanno, tuttavia, respinto il ricorso evidenziando che “i maltrattamenti erano stati realizzati mediante una pluralità e continuità di condotte vessatorie fatte di ripetute minacce, ingiurie e umiliazioni sorrette da consapevole malafede, sicuramente integranti il delitto contestato e hanno accertato gli effetti devastanti prodotti da tali condotte sulla crescita del minore”. In tutti questi casi si pone il rischio di un grave pregiudizio della relazione affettiva genitore-figlio, minandosi sia il diritto del minore alla bi-genitorialità, sia il diritto del padre o della madre di svolgere pienamente il proprio ruolo genitoriale.
STOP AL MANTENIMENTO DOPO I 34 ANNI
La vicenda vedeva protagonista un padre che agiva in Tribunale per chiedere la cessazione del suo obbligo di mantenimento nei confronti della figlia, ultraquarantenne, spiegando che la stessa non avesse in alcun modo provato a cercare lavoro in tutti questi anni, pur avendo l’età per farlo. Poiché sia il Tribunale, che la Corte di Appello avevano rigettato l’istanza del padre, il padre ricorreva in Cassazione, richiamando precedenti sentenze che avevano provato a individuare un limite ragionevole di età del figlio, oltre il quale il mantenimento non poteva essere più preteso. Era stata individuata infatti l’età presuntiva di 34 anni, quale soglia reputata congrua al giorno d’oggi per ritenere non più giustificato lo stato di non autosufficienza economica. Una volta superati i 34 anni, anche se non si è indipendenti economicamente, i figli raggiungono dunque una sorta di autonomia presunta, che non giustifica più l’obbligo di versare a loro favore il mantenimento. È evidente, tuttavia, che la spettanza dell’assegno di mantenimento debba comunque essere valutata caso per caso. Ad esempio, bisogna tenere conto di eventuali impedimenti psicofisici o di oggettive difficoltà di inserimento nel mercato del lavoro.