ASSEGNO DIVORZILE
La rubrica dell’avvocato
a cura dell’Avv. Monia Sorgato
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“Il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio non costituisce l’unico parametro di riferimento ai fini della statuizione sull’assegno divorzile ”
Nel corso di un giudizio civile per scioglimento del matrimonio, l’adito Tribunale aveva ritenuto rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 2, 3 e 29 della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 5, comma VI, della legge 1 dicembre 1970, n. 898 (Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio), poiché aveva ritenuto esistere un “diritto vivente” (in estrema sintesi, il consolidato orientamento maturato nella giurisprudenza e nella dottrina in ordine al significato normativo da attribuire ad una determinata disposizione) secondo cui, l’assegno divorzile deve necessariamente garantire al coniuge economicamente più debole il medesimo tenore di vita goduto in costanza di matrimonio.
La norma così censurata, ad avviso del Tribunale, si porrebbe in contrasto con l’art. 3 della Costituzione, sotto il profilo della ragionevolezza, in quanto l’assegno divorzile, pur avendo una finalità meramente assistenziale, finirebbe con l’attribuire l’obbligo di garantire per tutta la vita un tenore di vita agiato in favore del coniuge ritenuto economicamente più debole.
Quanto all’art. 2 della Costituzione, il contrasto di porrebbe per “eccesso di solidarietà”, in quanto la tutela del coniuge debole non comporterebbe l’obbligo di consentire, ben oltre il contesto matrimoniale, il mantenimento delle medesime condizioni economiche godute durante lo stesso matrimonio.
Infine, la norma contrasterebbe con l’art. 29 della Costituzione, in quanto risulterebbe anacronistico ricondurre l’assegno divorzile al tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, senza considerare l’attuale portata del divorzio, della famiglia e del ruolo dei coniugi.
Con la sentenza n. 11 del 9 febbraio 2015, la Corte Costituzionale ha ritenuto la questione non fondata, evidenziando che, anche di recente, la Corte di Cassazione (che costituisce il principale formante del diritto vivente) ha ribadito il proprio consolidato orientamento, secondo il quale il parametro del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio rileva per determinare in astratto il tetto massimo della misura dell’assegno, ma, in concreto, quel parametro concorre, e va poi bilanciato, caso per caso, con tutti gli altri criteri indicati nello stesso art. 5 cit.
Tali criteri (condizione e reddito dei coniugi, contributo personale ed economico dato da ciascuno alla formazione del patrimonio comune, durata del matrimonio, ragioni della decisione) agiscono come fattori di moderazione e diminuzione della somma considerata in astratto e possono valere anche ad azzerarla.